Sul Giordano Gesù è nido della colomba del cielo
Politica e cultura
						 
						Battesimo di Cristo, Paolo Veronese, Venezia, Chiesa del
						Redentore
Il popolo era in attesa e tutti si domandavano, riguardo a
						Giovanni, se non fosse lui il Cristo. Siamo così, creature di desiderio e di attesa,
						con dentro, sulla via del cuore, questo “tendere-a”, appassionato e attento,
						dato che il presente non basta a nessuno. L’attesa è così forte che fa nascere
						sentieri, e la gente è spinta fuori, sulla strada. Lascia il tempio e
						Gerusalemme dalle belle pietre, per cercare un luogo di sabbia e acqua, a
						decine di chilometri, dove si alzava una voce libera come il vento del deserto.
						
						Sei tu il Messia? E Giovanni scende dall’altare delle attese
						della gente per dire: no, non sono io. Viene dopo di me colui che è più forte
						di me». In che cosa consiste la sua forza? Lui è il più forte perché ha il
						fuoco, perché parla al cuore del popolo, come aveva profetizzato Osea: la
						condurrò al deserto e là parlerò al suo cuore. Due soli versetti raccontano il
						Battesimo di Gesù, quasi un inciso, in cui però il grande protagonista è lo
						Spirito Santo.
						
						Sul Giordano la colomba del cielo cerca il suo nido, e il
						suo nido è Gesù. Lo Spirito ancora adesso cerca il suo nido, e ognuno di noi è
						nido della colomba di Dio.
						
						Gesù stava in preghiera, e il cielo si aprì. Bellissima
						questa dinamica causa-effetto. Gesù sta in preghiera, e la meravigliosa
						risposta di Dio è di aprire il cielo. E non è vuoto e non è muto. Per ogni
						nostra preghiera la dinamica è sempre la stessa: una feritoia, una fenditura
						che si apre nel cielo chiuso e ne scende un volo di parole: Tu sei il Figlio
						mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento.
						
						Ogni preghiera non fa che ripetere incessantemente questo:
						«Parlami / aspetto a carne aperta / che mi parli./ Noi non siamo qui per vivere
						/ ma perché qualcuno / deve parlarci» (Franco Arminio).
						
						E la prima parola è “Figlio”. La “parola” scende e si fa,
						nel deserto, e qui, un “figlio”. Dio è forza di generazione, che come ogni
						essere genera secondo la propria specie. Siamo specie della sua specie, abbiamo
						Dio nel sangue e nel respiro. Posta in principio a tutte, “figlio” è parola che
						sta all’inizio perché sta anche alla fine di tutto.
						
						“Tu sei amato” è la seconda parola. Di immeritato amore,
						asimmetrico, unilaterale, incondizionato. Qui è posto il fondamento di tutta la
						legge. “Tu sei amato” è il fondamento; “tu amerai” è il compimento. Chi esce da
						questo, amerà il contrario della vita.
						
						Mio compiacimento è la terza parola, l’ultima. Un termine
						che non ci è abituale, eppure parola lucente, pulsante: c’è in Dio una
						vibrazione di gioia, un fremito di piacere; non è un essere freddo e
						impersonale, senza emozioni, ma un Padre apritore di cieli, felice di essere
						padre, in festa davanti a ognuno dei suoi figli.
Ermes Ronchi, novena.it