Scorgere Dio negli incontri fortuiti della nostra vita
Politica e cultura

Il buon samaritano,Maximilien Luce, olio su tela, Christie's New York
2 novembre 2011, lotto 310, venduto a 134.500 dollari
Tutti hanno visto. Tutti sapevano di quel poveraccio lasciato sulla strada mezzo morto: era là per terra, scambiato per un cumulo di stracci da chi avrebbe dovuto fermarsi in nome della sua fede o della sua autorità. Lo hanno visto e son passati oltre, come se il fatto non li riguardasse, forse perché assorti nelle loro speculazioni mentali, forse perché non volevano sporcarsi con il sangue di uno sconosciuto. Uno sconosciuto che però diventa simbolo di una umanità oltraggiata, derubata dei propri diritti, saccheggiata e offesa nel corpo e nell’anima, un’umanità di viandanti che restano tramortiti per strada ancora oggi per le nostre strade. Era “un uomo”, l’uomo, il fratello. A Gesù solo questo interessa. Dei primi due, persone dabbene e importanti, si dice che uno, il sacerdote, era là per caso: tante sono le cose che avvengono per caso, quelle strane coincidenze che ci portano su una strada invece che un’altra, deviazioni impreviste, appuntamenti mancati che favoriscono altri incontri. La nostra vita è costellata di “casi” più o meno fortuiti, che si sono poi rivelati decisivi, quasi un destino. Peccato che il prete abbia mancato il suo appuntamento con Dio che se ne stava là, ad aspettarlo, chiedendogli soccorso o almeno un po’ di compassione. “Avevo fame, avevo sete, ero malato, prigioniero, ero sul bordo della strada mezzo morto…” dirà poi Gesù. Dio era là. Anche il levita, l’uomo di potere, volta la faccia e prosegue il suo cammino, indifferente; e Dio sempre là ad ascoltare incredulo quei passi allontanarsi, a piangere di dolore. “Invece un samaritano…” Che meraviglia questo “invece”: una piccola parola che ribalta la storia, rovescia la prospettiva; proprio un samaritano, come dire uno scomunicato, un terrorista, un eretico, che si fa fratello, si curva, si fa carico del poveraccio, se ne prende cura. Differenza abissale dai primi due, distanza siderale tra occhi che vedono davvero e quelli che passano solo sfiorando, tra cuori che sentono il dolore dell’altro come il proprio dolore e quelli chiusi solo sui propri interessi. Tra chi si accorge che c’è qualcuno di cui prendersi cura e chi è rattrappito su sé stesso; insomma, tra chi ama e chi non ama. L’abbiamo ascoltato dalla prima lettura: non nel cielo, non nel mare, non coprendo assurde distanze possiamo realizzare il sogno di Dio, ma é qua vicino, è dentro di noi, basterebbe avere occhi e cuore, come quelli di Dio. Il nostro samaritano era “in viaggio”: aveva un programma, forse una tabella di marcia, eppure ha perduto il suo tempo avvicinandosi, facendosi prossimo all’uomo ferito, al Dio ferito. E al dottore della legge che lo aveva interrogato, Gesù infine dice: “Non c’è altro da fare.” Basta questo, solo questo.
Luigi Verdi avvenire.it