Quel dono del «pane» per tutti e insieme
Politica e cultura
						 
						Giovanni Lanfranco, La moltiplicazione dei pani e
						dei pesci, Dublino, National Gallery of Ireland
Mandali via, è sera ormai, e siamo in un luogo
						deserto. Gli apostoli si preoccupano per la folla, ne condividono la fame, ma
						non vedono soluzioni: «lascia che ciascuno vada a risolversi i suoi problemi,
						come può, dove può». Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno. Anzi vuole fare di
						quel luogo deserto una casa calda di pane e di affetto. E condividendo la fame
						dell'uomo, condivide il volto del Padre: “alcuni uomini hanno così tanta fame,
						che per loro Dio non può avere che la forma di un pane” (Gandhi). E allora
						imprime un improvviso cambio di direzione al racconto, attraverso una richiesta
						illogica ai suoi: Date loro voi stessi da mangiare. Un verbo semplice,
						asciutto, concreto: date. Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un
						altro verbo, fattivo, di mani: dare (Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo
						Figlio (Gv 3,16), non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici
						(Gv 15,13).
						
						Ma è una richiesta impossibile: non abbiamo che
						cinque pani e due pesci. Un pane per ogni mille persone e due pesciolini: è
						poco, quasi niente, non basta neppure per la nostra cena. Ma il Signore vuole
						che nei suoi discepoli metta radici il suo coraggio e il miracolo del dono. C'è
						pane sulla terra a sufficienza per la fame di tutti, ma non è sufficiente per
						l'avidità di pochi. Eppure chi dona non diventa mai povero. La vita vive di
						vita donata.
						
						Fateli sedere a gruppi. Nessuno da solo, tutti
						dentro un cerchio, tutti dentro un legame; seduti, come si fa per una cena
						importante; fianco a fianco, come per una cena in famiglia: primo passo per
						entrare nel gioco divino del dono. Fuori, non c'è altro che una tavola d'erba,
						primo altare del vangelo, e il lago sullo sfondo con la sua abside azzurra. La
						sorpresa di quella sera è che poco pane condiviso tra tutti, che passa di mano
						in mano e ne rimane in ogni mano, diventa sufficiente, si moltiplica in pane
						in-finito. La sorpresa è vedere che la fine della fame non consiste nel
						mangiare da solo, a sazietà, il mio pane, ma nello spartire il poco che ho, e
						non importa cosa: due pesci, un bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle
						ferite, un po' di tempo e un po' di cuore, una carezza amorevole.
						
						Sento che questa è la grande parola del pane, che
						il nostro compito nella vita sa di pane: non andarcene da questa terra senza
						essere prima diventati pezzo di pane buono per la vita e la pace di qualcuno.
						Tutti mangiarono a sazietà. Quel “tutti” è importante. Sono bambini, donne,
						uomini. Sono santi e peccatori, sinceri o bugiardi, nessuno escluso, donne di
						Samaria con cinque mariti e altrettanti fallimenti, nessuno escluso. Prodigiosa
						moltiplicazione: non del pane ma del cuore.
Ermes Ronchi, avvenire.it