Il tipografo - "u t'pogrf" - GRAVINAOGGI

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Il tipografo - "u t'pogrf"

Città e territorio
Il compositore tipografico è un'arte quasi scomparsa del tutto. Da una esperienza vissuta da ragazzo vi confesso che era bello aprire quei cassetti pieni di caratteri e comporre le frasi del testo da stampare, una lettera per volta da mettere nel compositoio e costruire una matrice. I caratteri tipografici sono parallelepipedi o prismi quadrangolari di metallo fuso, ordinariamente lega di piombo, antimonio e stagno. All'estremità superiore recano in rilievo le figurazioni delle lettere dell'alfabeto, i segni della punteggiatura o altro. Una serie di caratteri formano la matrice di un testo per la stampa. Ciascun carattere, dopo la stampa, può essere riutilizzato in una differente composizione e per questo la metodologia di stampa è detta a caratteri mobili. Ogni cassettiera una famiglia di caratteri, ogni cassetto un corpo (grandezza) di carattere diverso, ed in ogni casella un simbolo o lettera diversa. Insieme alla composizione dei caratteri il tipografo doveva conoscere anche la cosiddetta marginatura, per posizionare e distanziare a proprio piacimento il testo. Così il tipografo ha la sensazione inconfondibile di avere tra le mani qualcosa di unico, fatto a mano, componendo antichi caratteri con maestria e impegno. Un carattere tipografico, molto usato in quel tempo, ricordo, era il "Corsivo Inglese", utilizzato per stampati eleganti come partecipazioni di matrimonio e biglietti da visita per liberi professionisti. In tipografia era piacevole tagliare la carta, spesso con la ruota manuale, maneggiare col pedale la foratrice per fare i buchi nei fogli di carta e produrre blocchetti, passare le giornate in mezzo a quello sferragliare, sporcarsi le mani d'inchiostro e scoprire le tecniche di stampa di quei caratteri mobili di Johannes Gutenberg. Nelle vecchie tipografie poi bisognava passare l'inchiostro tra i rulli e azionare la macchina "pedalina". Che cos'era la "pedalina"? Era una macchina tipografica che poteva andare anche a motore, ma che nei primi tempi funzionava usando le gambe dell'artigiano, per muovere un grande pedale che metteva in funzione l'apparato. Si usava per stampare fogli, buste, biglietti da visita, volantini e manifesti di non grandi dimensioni. Si potevano "tirare" anche piccoli giornaletti composti a mano. Era bello vedere quei vecchi tipografi col grembiule o in manica di camicia azionare la "pedalina" dietro la vetrina delle stamperie. E nel retrobottega i tipografi erano tutti concentrati a scomporre una matrice, a comporre nuovi testi da stampare e a sistemare la marginatura. Un'arte nobile e bella. La stampa tipografica era in quel tempo un lavoro d'amore. Per la stampa dei manifesti formato "elefante" (cm70x100) o "mezzo elefante" (cm50x70), c'erano i caratteri di legno. La composizione di quei caratteri diventava matrice, che ben fissata, passava sotto il torchio tipografico o sotto i rulli della nuova macchina da stampa Heidelberg. Con il vecchio torchio sono stati stampati molti libri, giornali e manifesti fino all'avvento della macchina a pressione rotativa. Si stampavano così anche i manifesti da lutto. Negli anni '90 fece ingresso anche nelle due antiche tipografie gravinesi (Grassi e Gurrado) la macchina tipografica Linotype. Una macchina per la composizione a caldo. Si chiamava così perché permetteva di creare una linea intera di caratteri in metallo. Fu la prima macchina per la composizione tipografica automatica e consentì notevoli aumenti di produttività. Intanto le nuove tecniche tipografiche galoppavano. Ed ecco arrivare il procedimento di stampa offset, con colori brillanti e finezza dei dettagli, immagini e caratteri di eccezionale nitidezza, ad un'alta produttività e a costi contenuti, immediatezza, stampa personalizzata, ampia scelta di carte e materiali. Insomma un mondo davvero nuovo e rivoluzionario con ottimi risultati a tempo di record. Le due vecchie tipografie di Gravina a quel punto chiusero battenti. Oggi, con le nuove tecnologie si fanno lavori prima impensabili. Certamente è un bene.
Michele Gismundo

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