Dio sveglia la nostra vita prostrata verso gli idoli
Politica e cultura

Antica rovina romana trasformata in fienile, Disegno di Johann Heinrich, Metropolitan Museum, New York
Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Non siamo cambiati: sono passati secoli, abbiamo tecnologie e continue novità che rendono la nostra vita in apparenza più facile e scorrevole, ma il nostro cuore è rimasto quello di sempre, quello convinto che per stare bene basti possedere, che per essere felici bastino soldi e potere. È la tentazione perenne dell’essere umano che pensa di poter comprare tutto, che tutto abbia un prezzo e che assicurarsi il denaro corrisponda a garantirsi una vita tranquilla e senza scossoni. Eppure le ricchezze, nell’Antico Testamento, sono sempre state il segno di una benedizione di Dio, di un premio per una vita onesta e fedele. Allora forse il nocciolo di questa parabola non sono le ricchezze in sé, ma l’uso che se ne fa, cosa esse diventano per l’essere umano, quale senso assumono. Gesù infatti parla di “cupidigia” che significa bramosia, cioè quel desiderio ininterrotto e continuo di avere, di possedere, di godere. Come se non ci fosse un domani. O meglio, come se il domani fosse esclusivamente nelle nostre mani. Come se il senso della nostra vita si esaurisse in questa sfrenato bisogno di accumulare denaro e sicurezze. Dimenticandoci degli altri, dimenticandoci di Dio. Sottomessi ad una stregoneria dell’io che non lascia spazio ad altro. Certo, possiamo pianificare, investire, programmare tutto a puntino, così come aveva fatto lo stupido ricco della parabola, ma Gesù sembra chiederci: «È davvero questo che ti fa felice? Pensaci bene, è davvero solo questo che dà vita alla tua vita? Questo accumularsi di cose da fare (”…demolirò, costruirò, raccoglierò, mi riposerò, mangerò, mi divertirò…), è davvero solo questo ciò che dà il senso alla tua esistenza? Non ti accorgi di diventare un povero schiavo? Io ti voglio libero!» No, non è un invito a riflettere sulla caducità della vita questa parabola, non è solo una questione di eredità, o uno dei tanti rimproveri che Gesù fa agli avari, ricchi fuori e poveri dentro; piuttosto è una chiamata alla libertà, uno squillo, una sveglia alla nostra vita, prostrata davanti agli idoli di tutti i giorni. Davanti a ciò che ci compra. «Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto». (H. D. Thoreau) Dio dei porti, Dio dei passaggi, vieni ad infrangere da cima a fondo le catene, donami il coraggio di volare e spingere in alto la coltre che mi opprime. Che né potere, né soldi, né ambizione mi comprino più. Ed ecco, lacrimano gli occhi alla libertà della luce.
Luigi Verdi avvenire.it