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Desidero dunque sono

Politica e cultura
El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha, Miguel de Cervantes Saavedra. Fonte: Flickr

Con un’opera sorprendente e oltremodo innovativa, René Girard sceglie di indagare le fitte trame del desiderio umano nella sua declinazione mimetico-imitativa.
Mensonge romantique et vérité romanesque (Menzogna romantica e verità romanzesca), così si intitola l’opera in questione pubblicata nel 1961: in essa Girard afferma la tesi secondo cui il mimetismo – o l’imitazione – sia alla base di tutti i comportamenti umani ed è il motore che conduce ineluttabilmente verso ogni dinamica di conflitto e violenza.
Nello specifico, l’antropologo e filosofo francese approfondisce la teoria del “desiderio secondo l’altro” a partire dall’analisi di alcune delle opere letterarie più famose di tutti i tempi, come Don Chisciotte di Cervantes, Madame Bovary di Flaubert o Il rosso e il nero di Stendhal.
Perché ricorrere alla letteratura? L’intento è quello di mostrare, attraverso i protagonisti di tali opere letterarie, innalzati ad emblema del genere umano, come le nostre azioni non possano mai del tutto definirsi spontanee essendo caratterizzate da una dinamica triangolare tipica del desiderio. Infatti, tra chi desidera e l’oggetto desiderato si frappone un terzo elemento chiamato da Girard “mediatore”, che rappresenta il modello imitato e del quale finiamo per desiderare i suoi stessi desideri. In seguito, l’antropologo farà un’ulteriore distinzione tra “mediazione interna” (quando la distanza tra il soggetto desiderante e il modello è minima, tanto da innescare una possibile rivalità) e “mediazione esterna” (quando la distanza tra colui che desidera e il modello è estesa nel tempo e nello spazio).
Così che: «Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla fondamentale prerogativa dell’individuo: egli non sceglie più gli oggetti del suo desiderio, è Amadigi che deve scegliere per lui. Il discepolo si precipita sugli oggetti che il modello della cavalleria di sempre gli indica, o sembra indicargli». Allo stesso modo: «Emma Bovary desidera per il tramite delle romantiche eroine che le riempiono la fantasia, le mediocri letture fatte durante l’adolescenza hanno distrutto in lei ogni spontaneità».
Per Girard, dunque, solo la letteratura è in grado di portare alla luce una verità essenziale che definirà “romantica”. Quest’ultima consiste esattamente in questo: nell’apprendere che il desiderio non è un’attività genuina e libera ma, al pari di una febbre contagiosa e inarrestabile, passa dal modello che incarna il nostro ideale di felicità e che si vuole imitare, a colui che desidera. L’oggetto, in questo modo, assume una connotazione superflua rimanendo sullo sfondo, in quanto ciò che realmente si desidera è lo stato di felicità o di potenza, per così dire, che il modello ha raggiunto possedendo quel determinato oggetto. Così che il desiderio mimetico di Girard, in realtà, possiede un carattere metafisico dato che desiderare il desiderio dell’altro si traduce, in ultima analisi, nel “desiderio di essere”.
Tuttavia, è proprio in questo momento che si instaura una dinamica conflittuale dal momento che il soggetto desiderante e il modello imitato finiscono per desiderare lo stesso oggetto, diventando di fatto rivali.
Lo slancio verso l’oggetto è in fondo slancio verso il mediatore. […] il soggetto prova infatti nei confronti del modello stesso un sentimento lacerante formato dall’unione di due contrari: la venerazione più sottomessa e il rancore più profondo. È il sentimento che chiamiamo odio. Soltanto l’essere che ci impedisce di esaudire un desiderio da lui stesso suggeritoci è veramente oggetto di odio. Colui che odia, odia innanzitutto se stesso, a causa della segreta ammirazione che il suo odio dissimula; con l’intento di nascondere agli altri, e a se stesso, tale sviscerata ammirazione, egli vuole scorgere nel mediatore unicamente un ostacolo.
Alla luce di questa intuizione critica e psicologica fondamentale, la teoria girardiana, spiegando i comportamenti umani a partire dal desiderio mimetico, giunge ad evidenziare il legame che c’è tra quest’ultimo e quello che definirà a sua volta “conflitto mimetico”.
Infatti, non solo il mediatore viene imitato ma anche la stessa rivalità e, qualora questo meccanismo perde il suo carattere individuale arrivando a coinvolgere tutta la società, genera violenza. Al fine di evitare che la violenza dilaghi, per il filosofo de La violence et le sacrè (La violenza e il sacro, 1971) è necessario individuare un capro espiatorio, una vittima da sacrificare per ristabilire l’equilibrio.
Così come è vero che il verbo sacrificare porta in sé la radice di sacrum e, dunque, consiste nel compiere un’azione sacra, lo stesso carattere di sacralità riveste il capro espiatorio che, di fatto, è all’origine di tutti i fenomeni religiosi. In particolare, Girard si sofferma sul cristianesimo essendo un grande studioso dei Vangeli e nota che in quest’ultimi l’espressione “capro espiatorio” non compare mai ma, piuttosto, assume il significato di “Agnello di Dio” rappresentato proprio da Cristo: massima espressione del sacrificio dell’innocente al fine di salvare l’umanità peccatrice.
Molto interessante è notare come proprio la religione cristiana, attraverso il nono e decimo comandamento, cerchi di porre un limite al desiderio mimetico intuendo come esso, per la sua stessa natura, se non contenuta, possa essere il propulsore che conduce a forme di violenze inarrestabili. Così leggiamo nel Decalogo: «Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo». Attraverso queste parole il cristianesimo intende porre un veto al “cattivo desiderio”, la cui malvagità è racchiusa nel fatto che colui che desidera (e, quindi, pecca) voglia per sé l’oggetto del mediatore. L’unico modo che il cristiano (ma, forse, più semplicemente l’uomo) ha per salvare la sua anima è quella di prendere come suo unico modello la vita di Cristo (imitatio Christi) o quella che Hegel chiamerebbe la “legge del cuore”, ed evitare di esplorare fino in fondo «la solitaria regione del desiderio» (stando ad una definizione dello scrittore e giornalista Luca Doninelli) con la sua sublime bellezza e le sue infinite trappole.
 Giusy Nardulli


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