Chi non ama vede solo il male attorno a sé
Politica e cultura
						 
						Hans Collaert (Brussels 1525 o 1530 – Antwerp 1580), La
						parabola della pagliuzza e della trave
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo
						fratello? Notiamo la precisione del verbo: perché "guardi", e non
						semplicemente "vedi"; perché osservi, fissi lo sguardo su pagliuzze,
						sciocchezze, piccole cose storte, scruti l'ombra anziché la luce di
						quell'occhio? Con una sorta di piacere maligno a ricercare ed evidenziare il
						punto debole dell'altro, a godere dei suoi difetti. Quasi a giustificare i
						tuoi. Un motivo c'è: chi non vuole bene a se stesso, vede solo male attorno a
						sé; chi non sta bene con sé, sta male anche con gli altri. Invece colui che è
						riconciliato con il suo profondo, guarda l'altro con benedizione. Con sguardo
						benedicente. Dio guardò e vide che tutto era cosa molto buona (Gen 1,31).
						
						Il Dio biblico è un Dio felice, che non solo vede il bene,
						ma lo emana, perché ha un cuore di luce e il suo occhio buono è come una
						lampada, dove si posa diffonde luce (Mt 6,22). Un occhio cattivo invece emana
						oscurità, moltiplica pagliuzze, diffonde amore per l'ombra. Alza una trave
						davanti al sole.
						
						Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi. La morale
						evangelica è un'etica della fecondità, di frutti buoni, di sterilità vinta e
						non di perfezione. Dio non cerca alberi senza difetti, con nessun ramo spezzato
						dalla bufera o contorto di fatica o bucato dal picchio o dall'insetto. L'albero
						ultimato, giunto a perfezione, non è quello senza difetti, ma quello piegato
						dal peso di tanti frutti gonfi di sole e di succhi buoni. Così, nell'ultimo
						giorno, quello della verità di ogni cuore (Mt 25), lo sguardo del Signore non
						si poserà sul male ma sul bene; non sulle mani pulite o no, ma sui frutti di
						cui saranno cariche, spighe e pane, grappoli, sorrisi, lacrime asciugate.
						
						La legge della vita è dare. È scritto negli alberi: non
						crescono tra terra e cielo per decine d'anni per se stessi, semplicemente per
						riprodursi: alla quercia e al castagno basterebbe una ghianda, un riccio ogni
						30 anni. Invece ad ogni autunno offrono lo spettacolo di uno scialo di frutti,
						uno spreco di semi, un eccesso di raccolto, ben più che riprodursi. È vita a
						servizio della vita, degli uccelli del cielo, degli insetti affamati, dei figli
						dell'uomo, di madre terra. Le leggi della realtà fisica e quelle dello spirito
						coincidono.
						
						Anche la persona, per star bene, deve dare, è la legge della
						vita: deve farlo il figlio, il marito, la moglie, la mamma con il suo bambino,
						l'anziano con i suoi ricordi. Ogni uomo buono trae fuori il bene dal buon
						tesoro del suo cuore. Noi tutti abbiamo un tesoro, è il cuore: da coltivare
						come un Eden; da spendere come un pane, da custodire con ogni cura perché è la
						fonte della vita (Proverbi, 4, 23).
						
						Allora, non essere avaro del tuo cuore: donalo.Ermes Ronchi, novena.it