Arte lignea a Gravina tra XVI e XVIII secolo - GRAVINAOGGI

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Arte lignea a Gravina tra XVI e XVIII secolo

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Foto di Carlo Centonze per Gravinaoggi.it

L'arte lignea, o storia dei manufatti di legno, è antica quanto la storia dell'uomo. Non si può disconoscere il fatto che l'uomo ha utilizzato il legno prima delle pietra, certamente come elemento naturale e di uso più semplice. Dall'esigenza puramente materiale con linee rozze ed informi, passò alla lavorazione e realizzazione di oggetti d'uso e di ornamento sempre più raffinati ed esteticamente apprezzabili. I manufatti diventarono anche opera d'arte, man mano che soddisfacevano l'esigenza estetica. Basti considerare la produzione lignea più elementare dei primi lavoratori del legno, i pastori, che per generazioni si sono tramandati l'arte; le loro testimonianze sono raccolte nei musei etnografici. I manufatti lignei sono il risultato di una complessa sintesi tra natura-uomo-attività-economia di comunità e di luoghi. Una comunità come quella di Gravina, figlia dei boschi, "Silvium", non poteva essere immune dall'utilizzo e lavorazione del legno. Di qui la presenza in loco di molti artigiani del legno: dal rozzo legnaiolo e mastro d'ascia ai raffinati falegnami-ebanisti e tornitori di legnami. I legni usati sono, prima di tutto, quelli locali: salice di fiume, pero, noce, mandorlo, ciliegio, ulivo, olmo, tiglio, pino, quercia. Si importava rovere, ebano ed altri legni per usi più specifici. Ogni legno soddisfaceva le diverse esigenze per realizzare differenti manufatti. Ad esempio il salice, tenero e molto docile alla lama, si prestava alla realizzazione di cucchiai, forchette, marchi di pane, scodelle; pero, mandorlo, ulivo, ciliegio, olmo, per utensili della pastorizia, della agricoltura, per accessori di ogni utensile, che richiedeva impugnature, per confezionare fiaschi, bicchieri, sgabelli a tre piedi; quercia, noce, olmo, ulivo e ciliegio per mobili comuni ed artistici; pino, abete per opere di carpenteria e di costruzione. La maggior parte di questi legni erano locali ed erano i più sfruttati per attività primarie e per esigenze economiche. Mancavano i legni da costruzione, che venivano importati insieme a molti altri, richiesti per fare mobili di particolare consistenza e pregio artistico. Nella documentazione d'archivio si legge che molto legname veniva comprato da altre zone mediante intermediari ed esperti, ben pagati. Il legname necessario nel periodo della ricostruzione della cattedrale e sacrestia, per coro, banchi, "bancone" e altra suppellettile e infrastruttura, fu comprato da Irsina e da Bari. Legni importati e locali costituirono materia prima di un fiorente terziario che soddisfaceva non solo le esigenze elementari del quotidiano, ma soprattutto quelle di costruzioni urbane e rurali, civili ed ecclesiastiche, che avevano coperture di legno e tegole; inoltre, rispondevano alle esigenze di arredamento umile e lussuoso, esigenze decorative artistiche, sacre. Le testimonianze di queste esigenze e relativi soddisfacimenti si riscontrano nella vasta e variegata produzione religiosa di chiese, infrastrutture e suppellettile di ogni genere. Molte opere rivestono carattere altamente artistico e attestano la presenza di artigiani e artisti del legno, nonché il raffinato gusto e l'aggiornamento artistico-culturale dei committenti e degli esecutori. Escludendo le realizzazioni comuni, si possono annoverare tra la produzione artistica del XVI-XVII-XVIII secolo, con un crescendo dal più antico al più recente, cornici di quadri, sculture di Santi e Crocifissi, mobili di sagrestia, mobili d'arredamento aristocratico, cassettoni di chiese, cori, pulpiti, presepi, decorazioni di altari, leggii, urne, candelieri, troni, inginocchiatoi e confessionili. E' questa una vasta gamma di opere lignee che, per lo più, risultano anonime e sconosciute, perché la storiografia e la storia dell'arte ha rivolto scarso interesse a questuarle minore". Infatti era comune convinzione che, quando il legno veniva utilizzato come motivo ornamentale per cori, armadi, pulpiti, porte, soffitti, leggii, candelabri, si producessero opere di sfera decorativa o industriale, perché i realizzatori non erano quasi mai scultori, ma artigiani o artisti specializzati. Per questo il prodotto non rientrava nella sfera dell'arte per eccellenza. Eppure i lavori lignei furono soggetti alla stessa cultura, agli stessi problemi espressivi, che caratterizzarono le opere in marmo, in pietra, in bronzo e metalli preziosi. L'unica distinzione si riscontra nelle soluzioni plastiche e nelle inflessioni formali che le venivano suggerite od imposte dalla particolare natura della materia elaborata e, soprattutto, per l'adozione del colore o, meglio della policromia come elemento indispensabile alla compiutezza artistica delle opere. Comunque l’arte lignea fu ritenuta arte popolare per varie ragioni: il legno costava assai meno del marmo; le figure intagliate, in quella materia umile dovevano e potevano sedurre più facilmente ed edificare gli animi dei semplici. Solo in tempi moderni, nel clima della valutazione delle classi subalterne, alcuni ricercatori si sono occupati degli artisti del legno, interessandosi, maggiormente, di quelli di maggior fama o provenienti da scuole rinomate. In questi ultimi anni, poi, la grande mania del mobile d'epoca ed il fiorente commercio dell'antiquariato hanno spinto ricercatori, storici dell'arte, case editrici a rinvenire, inventariare, studiare mobili di tal fatta. E' una ricerca necessaria non tanto per conoscere l'autenticità o meno di questo o quel manufatto in legno, ma soprattutto per il sicuro contributo che si può ricavare studiandoli, a beneficio della ricostruzione del variegato e complesso mosaico storico. Il Finocchietti pubblicò il 1873, negli Annali dell'Agricoltura, un accurato studio, in cui tracciò i capisaldi dell'arte lignea e citò molti artisti, molte opere e molte scuole italiane, tranne ciò che riguardava la Puglia. Questa regione, pur essendo stata terra di scultori, intagliatori, intarsiatori e di maestri, che insegnarono e realizzarono opere di alto pregio estetico ed artistico, non ha avuto una letteratura sull'attività artistica del legno. Rosario Iurlaro, il 1969, si occupò del coro ligneo di Brindisi, fece il punto su molte opere lignee pugliesi e censì molti artisti della Puglia, o che qui operarono, realizzando cori, armadi di sagrestia, sculture sacre ed altro. Quest’opera avviò la ricerca. Molte opere sono sconosciute, molte sono anonime, molti artisti e maestri dell'intaglio non sono stati mai riconosciuti e censiti, perché la ricerca in questo campo è ardua e richiede certosina e laboriosa lettura di tutti i documenti d'archivio, dei Capitoli delle Cattedrali, delle mense vescovili, dei monasteri soppressi, delle confraternite e dei comuni. La discriminazione generale verso l'arte lignea, l'anonimato delle opere, la difficoltà delle ricerche e la mancanza di trascrizioni di atti d'archivio hanno influito sulle conoscenze artistiche un pò dovunque e anche a Gravina. Qui, pur essendoci molti manufatti lignei, datati e databili dal XV secolo in poi, poco si conosce. I legni artistici di Gravina sono inediti. Il Bancone della cattedrale, il coro, l'altare della cappella della Madonna del Carmine in San Sebastiano, gli altri legni, sono sconosciuti ai più; appena l'esistenza è nota ad un numero ristretto di Gravina e ad alcuni storici dell'arte pugliese. Di essi non si conosce nulla, molti richiedono restauri, alcuni sono stati restaurati. L'anonimato dei loro autori persiste e nessuno si preoccupa di metterli in luce. Sarebbe opportuno adoperarsi per il censimento di tutte le opere lignee, per il restauro delle più deperite, per il rinvenimento degli autori ed ogni altra notizia storica, atta a dare ad ogni opera la giusta dimensione ed il giusto posto nella storia dell'arte minore e non. Credo che ogni qualvolta si faccia un restauro, sia necessario ed utile descrivere l'opera artisticamente e storicamente, dandone, possibilmente, una paternità. Nulla è impossibile quando si vuole. Un'opera di recupero è incompleta senza una scheda biografica. Mi meraviglia il fatto che a Gravina, pur essendoci stati molti artigiani e artisti locali alquanto conosciuti al loro tempo, nessuno, prima d'ora, si sia interessato a questa ricca produzione lignea. Il canonico Tobia Stamelluti di Gravina, il 1871 scrisse nelle sue "Opinioni sull'origine di Gravina" che in città operarono: gli intagliatori fratelli Ricciardelli, autori dell'altare della Madonna del Carmine in San Sebastiano; il celebre ebanista Raffaele Marchetti "figlio del popolo, inventore d'istrumenti e macchine dell'arte sua". Le sue opere furono ammirate "dagli esteri, ed alcune furono trasportate finanche nel Brasile per mobiliare la reggia di quell'imperatore. Egli visse in Napoli dove morì, ed oscurò la fama dell'altro valente ebanista Senith". Del Marchetti non abbiamo trovato riferimenti ad opere realizzate in Gravina, mentre dei fratelli Ricciardelli si trovano testimonianze consistenti. Innanzitutto la presenza della famiglia è testimoniata negli atti di battesimo, della parrocchia di San Giovanni Battista. Un Gennaro Ricciardelli figura nelle deliberazioni capitolari dell'Opera Pia Sacro Monte dei Morti (Purgatorio) di Gravina, in qualità di disegnatore e intagliatore, che realizza una custodia portatile in noce nera e tiglio, il quadro di San Giuseppe nell'oratorio sottostante la chiesa. Unitamente all'intagliatore Francesco Laterza, il Ricciardelli, realizzò il pulpito della stessa chiesa del Purgatorio. Sempre nel Purgatorio lavorò mastro Salvatore Fighera, che realizzò in legno di pero un'urna per reliquie. Dallo Stamelluti sappiamo ancora che in occasione della festa di San Michele si ergeva una "bella e grande orchestra (di legno) simile alla macchina che si trova sull'altare maggiore, disegnata dall'architetto gravinese Raffaele Balzano..." e più innanzi sostiene che "... ariosa e grande è la sacrestia eretta nel 1580 dal vescovo Manzolio con grandi armadi, in cui si conservano i molti arredi sacri, la maggior parte dei quali di gran valore furon doni dell'immortale memoria di Benedetto XIII, papa Orsini"; il poggio bancone dove si vestono i canonici è pure intagliato come il coro". Questi dati sostengono l'esistenza in Gravina di una fiorente attività lignea anche a livello di artigiani-professionisti-artisti. E' una attività che viene da lontano, e riassume tutte le tecniche ed influssi della lavorazione del legno ad ogni livello e per ogni uso. Quando si ricostruì la cattedrale, fu anche realizzato un bellissimo coro, forse dagli stessi artigiani o artisti del "Bancone". Questo legno di grandi dimensioni, forse di 115 stalli, fu gravemente danneggiato dal crollo della cattedrale e del campanile. Tutti i pezzi e frammenti rimasero a deposito per diversi anni, ma, dopo le opere primarie, fu ricostruito da mastro Leone Caldarone Gravina e da mastro Cola Marciarana de Bari. Quest'ultimo, il 9 luglio 1591, ricevette 10 ducati per aver finito il coro e per la verniciatura o inceratura. Così quello stesso anno il capitolo ritornò a sedersi nel rinato coro. Dopo pochi anni il vescovo Giustiniani impose al capitolo cattedrale di contribuire al restauro del coro, che richiedeva nuovi interventi. Ma il capitolo impossibilitato a sostenere le spese inviò due delegati al vescovo per chiedere l'esonero. I lavori furono avviati sia per restaurare il coro, l’armadio e altre opere lignee, che furono trovate dai successori Cennini, Valvassorio, Cavalieri, Lucini, fra Vincenzo Maria Orsini. Questi ultimi, da veri mecenati sostennero l'impegno di rinnovare la cattedrale, gli altari, il soffitto, la sagrestia e tutte le rispettive infrastrutture. Dal 1650 al 1725 ritornarono a lavorare molte maestranze per ripristinare ed ampliare il patrimonio dell'arte sacra che oggi è oggetto del nostro studio e della nostra ammirazione. Sotto i predetti Vescovi e Cardinale si ebbero: il trono vescovile, il pulpito, l'arco di trionfo della cattedrale, il nuovo organo, il soffitto, il fonte battesimale, gli armadi settecenteschi, l'altare e statua di San Michele Arcangelo in sagrestia, la statua di un San Lorenzo, il busto argenteo di S. Filippo Neri, la tela raffigurante il conte Umfrido normanno, ed altre opere. Insomma una copiosa testimonianza di opere, di artisti, di mecenati, di cultura, di fiorente economia, che ci tramandarono una Gravina ricca.
Fedele Raguso, “Il Bancone nella sagrestia della cattedrale di Gravina”, 1994
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