La supplica del Signore: convertitevi o perirete
Politica e cultura
						
						Icona bizantina raffigurante la maledizione dell'albero di fico
Cronaca dolente, di disgrazie e di massacri. Dio
						dove eri quel giorno? Quando la mia bambina è stata investita, dov'eri? Quando
						il mio piccolo è volato via dalla mia casa, da questa terra, come una colomba
						dall'arca, dove guardavi?
						
						Dio era lì, e moriva nella tua bambina; era là in
						quel giorno dell'eccidio dei Galilei nel tempio; ma non come arma, bensì come
						il primo a subire violenza, il primo dei trafitti, sta accanto alle infinite
						croci del mondo dove il Figlio di Dio è ancora crocifisso in infiniti figli di
						Dio. E non ha altra risposta al pianto del mondo che il primo vagito
						dell'alleluja pasquale.
						
						Se non vi convertirete, perirete tutti.
						
						Non è una minaccia, non è una pistola puntata alla
						tempia dell'umanità. È un lamento, una supplica: convertitevi, invertite la
						direzione di marcia: nella politica amorale, nell'economia che uccide,
						nell'ecologia irrisa, nella finanza padrona, nel porre fiducia nelle armi,
						nell'alzare muri.
						
						Cambiate mentalità, onesti tutti anche nelle
						piccole cose, e liberi e limpidi e generosi:
						
						perché questo nostro Titanic sta andando a finire
						diritto contro un iceberg gigantesco. Convertitevi, altrimenti perirete tutti.
						
						È la preghiera più forte della Bibbia, dove non è
						l'uomo che si rivolge a Dio, è Dio che prega l'uomo, che ci implora: tornate
						umani! Cambiate direzione: sta a noi uscire dalle liturgie dell'odio e della
						violenza, piangere con sulle guance le lacrime di quel bambino di Kiev, gridare
						un grido che non esce dalla bocca piena d'acqua, come gli annegati nel
						Mediterraneo. Farlo come se tutti fossero dei nostri: figli, o fratelli, o
						madri mie. Non domandarti per chi suona la campane/ Essa suona sempre un poco
						anche per te (J. Donne).
						
						Poi il Vangelo ci porta via dai campi della morte,
						ci accompagna dentro i campi della vita, dentro una visione di potente fiducia.
						Sono tre anni che vengo a cercare, non ho mai trovato un solo frutto in questo
						fico, mi sono stancato, taglialo. No, padrone! Il contadino sapiente, che è
						Gesù, dice: «No, padrone, no alla misura breve dell'interesse, proviamo ancora,
						un altro anno di lavoro e poi vedremo». Ancora tempo: il tempo è il messaggero
						di Dio. Ancora sole, pioggia e cure, e forse quest'albero, che sono io, darà
						frutto. Il Dio ortolano ha fiducia in me: l'albero dell'umanità è sano, ha
						radici buone, abbi pazienza.
						
						La pazienza non è debolezza, ma l'arte di vivere
						l'incompiuto in noi e negli altri. Non ha in mano la scure, ma l'umile zappa.
						Per aiutarti ad andare oltre la corteccia, oltre il ruvido dell'argilla di cui
						sei fatto, cercare più in profondità, nella cella segreta del cuore, e vedrai,
						troverai frutto, Dio ha acceso una lucerna, vi ha seminato una manciata di luce.
Ermes Ronchi, novena.it