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La cronaca del rapimento Moro

Politica e cultura

Gravinaoggi Aldo Moro

Chi era Aldo Moro?
La storia novecentesca diventa intrigante attraverso la cronaca di quel 16 marzo 1978.

Via Mario FANI - 16 Marzo 1978
Ormai tutto è pronto, tutto è deciso, siamo arrivati in primavera dell'anno 1978 e nel paese si respira un'aria strana, come se il tempo fosse sospeso in attesa di qualcosa di atroce che pare stia per accadere, alla radio suonano "Fantasy" degli Earth Wind & Fire al cinema danno: "I quattro dell'Oca Selvaggia" di Andrew V. McLaglen, il movimento del '77 è già un ricordo lontano, andiamo incontro ad una nuova stagione, una stagione che forse ha proprio in questa data il suo inizio. L'organizzazione di questo sequestro è stata così particolareggiata e diffusa che forse qualcosa è sfuggito, il giornalista Mino Pecorelli di OP per esempio, scrive che qualcosa di grave sta per accadere sulla scena politica, addirittura alle ore otto di mattina la notizia che stava per essere compiuta un'azione terroristica ai danni di Moro venne diffusa da un'emittente radiofonica, Radio Città Futura, da parte del suo animatore Renzo Rossellini e lo stesso Moro confida a Giovanni Galloni che teme per la sua incolumità ma la cosa che più lo preoccupa è che sapendo per certo che le BR sono infiltrate dai servizi segreti, come mai ancora non c'erano novità sulle loro basi operative; Moro da par suo nel frattempo aveva scoperto della avanzata imperiosa della Loggia Massonica P2 che stava influenzando sempre più tanti settori dello Stato, forse voleva capirne qualcosa in più o forse aveva già capito tutto, fatto sta che quella mattina portava con se l'elenco di tutti gli iscritti allora conosciuto.
•Ore 6.00
L'uomo si alzò all'alba, come ogni giorno. Di mestiere faceva il venditore ambulante di fiori, e stazionava giornalmente all'angolo tra via Fani e via Stresa. Ma quella mattina del 16 marzo 1978 perse il suo appuntamento con la storia. Perché qualcuno, la sera prima, tagliò i quattro copertoni del furgoncino con il quale si recava al lavoro. E così, sacramentando, dovette restare a casa. Forse, se avesse potuto recarsi con un altro mezzo al lavoro, avrebbe avuto l'occasione di vedere da vicino la scena di uno dei crimini più gravi della storia dell'Italia repubblicana, quella che è conosciuta come l'eccidio di via Fani. Ma erano tante le case della capitale dove alcuni uomini avevano un appuntamento con il destino. Uno di questi era il maresciallo Oreste Leonardi. 52 anni, torinese, istruttore alla Scuola Sabotatori del Centro Militare di Paracadutismo di Viterbo, da quindici anni guardia del corpo dell'onorevole Aldo Moro. Come ogni giorno si alzò presto, prese il caffè e lo portò alla moglie. Andò nell'armadio e prese alcune pallottole, dopodiché si recò all'appuntamento con l'uomo che doveva scortare, come ogni giorno. Quell'uomo era Aldo Moro, di cui era un amico personale.
•Ore 7.00
Un altro uomo si preparò per recarsi in via Fani. Era uno dei dirigenti, uno di quelli che aveva meticolosamente preparato, assieme alla direzione strategica, il piano dell'agguato. Il suo nome Franco Bonisoli, l'uomo che aveva scoperto, fuori dalla chiesa di santa Chiara, nella quale Moro si recava quotidianamente ad ascoltare Messa, che la Fiat 130 nella quale viaggiava non era blindata. Non era un esperto d'armi, e controllò per l'ennesima volta che la pistola con cui avrebbe sparato quel giorno fosse carica. Si era esercitato in campagna, in alcune grotte, per mesi. Ma nonostante ciò non si sentiva materialmente pronto. Altre 11 persone nel frattempo si sono messe in moto, ognuna ha un compito ben definito, non c'è spazio per l'improvvisazione. Anche se le incognite che pesano sull'obiettivo sono tante.
•Ore 8.00
All'angolo con via Stresa, di fronte al bar Olivetti, alla fermata del bus, ci sono due figure: portano divise dell'Alitalia; contemporaneamente, dietro la siepe, quattro persone sono nascoste con le armi in pugno e aspettano nervosamente il momento per entrare in azione. Su un lato della strada è parcheggiata una 128 bianca, a bordo c'è Mario Moretti, massimo dirigente e responsabile delle Br. L'attesa del gruppo è spasmodica:qualcuno, prima di entrare in azione "ha dovuto bersi un cognacchino", come diranno i brigatisti in uno dei processi sul caso Moro.
•Ore 8.30
Il Presidente Moro esce dal suo appartamento come tutte le mattine, sale sulla sua auto ministeriale, un saluto ai ragazzi e poi dritto in Parlamento, chissà cosa stava pensando in quei momenti, solite cose, soliti problemi ormai è avvezzo anche a queste tensioni a questi momenti istituzionali così difficili, eppure quella mattina c'è qualcosa di diverso, l'aria primaverile è più acre del solito, si respira un'atmosfera pesante, forse Moro ha già capito è già consapevole, pensa al suo destino a quello del suo paese, della sua famiglia, nel frattempo le auto scendendo da Via Trionfale, alla guida c'è l'appuntato Domenico Ricci, al suo fianco Oreste Leonardi, con la sua pistola d'ordinanza chiusa in un borsello di plastica. Il Presidente ha con se le inseparabili borse: quelle dalle quali è difficile che si stacchi, che avrebbero in seguito alimentato polemiche a non finire con la loro misteriosa scomparsa.
•Ore 9.00
Ricci guarda nello specchietto: lo fa per abitudine, segue sempre con lo sguardo l'Alfetta guidata dalla guardia di PS. Giulio Rivera, coadiuvato dal brigadiere di PS Francesco Zizzi e dalla guardia di PS Raffaele Iozzino. Segue come un'ombra la 130, lungo la discesa di Via Fani. Quello che segue avviene in un attimo, ed è stato ricostruito con un lavoro paziente, nonostante il quale ancora oggi si nutrono forti perplessità: da via Stresa una 128 bianca fa retromarcia, mentre dal lato di Via Fani la 130 con a bordo Aldo Moro frena di colpo. E' solo un attimo, ma Ricci non fa in tempo a frenare di scatto. La sorpresa è stata totale, i tempi dell'agguato sono scanditi in maniera a dir poco eccezionale. La 130 è bloccata, per qualche istante sembra che il tempo si fermi: da dietro le siepi del bar Olivetti sbucano quattro persone armate, una parte del commando è già in azione per bloccare il traffico in ogni direzione; disperatamente Ricci cerca di uscire dal budello in cui è bloccato. troppo tardi: una tempesta di piombo si abbatte sulle auto. Nella 128, Moretti innesta la retromarcia, rendendo impossibile qualsiasi spazio di manovra. Quasi simultaneamente cadono sotto la tempesta di piombo Leopardi e Ricci. Iozzino no: tenta una disperata reazione, esce pistola in pugno, ma è abbattuto a tradimento: qualcuno lo colpisce alle spalle. Zizzi non è morto, ma è fuori combattimento. Moro se ne sta rannicchiato sul sedile posteriore della sua auto i suoi pensieri non contano più adesso è schiavo di quello che sta per succedere, dell'inevitabile che lo aspetta. Pochi minuti, e tutto è compiuto. Il tempo si è fermato, la furia di colpi è terminata e resta un istante lunghissimo di silenzio, l'aria è pesante, annebbiata dagli scarichi polverosi delle pistole e dei mitra, tutto intorno è silenzio, si percepisce un rumore di passi veloce ma freddo, netto, deciso. Aldo Moro viene scaraventato giù dall'auto, mentre due brigatisti lo sorreggono; non è ferito, ma questo lo si saprà solo in seguito. Qualcuno afferra anche le preziose borse di Moro. La scena della strage non è però occupata solo dai brigatisti: poco più giù, sta arrivando con il suo motorino, l'ingegner Marini, che ha il tempo di guardare la scena:ma solo per pochi secondi. Una Honda, su cui viaggiano due persone, esplode una raffica di mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del motorino. E' così profondo lo choc, che Marini non riuscirà a dare un quadro personale della dinamica dei fatti. Qualcuno, intorno, si è reso conto che qualcosa di grave è avvenuto: sono da poco passate le 9,00. Un giornalaio, che ha la sua edicola a pochi metri dal luogo dell'agguato, racconterà che suo figlio, attirato dal rumore degli spari, è accorso sul posto dell'eccidio, giusto in tempo per vedersi puntare in faccia una pistola. Giuseppe Marrazzo, inviato del Tg2, intervistò una signora, che aveva seguito le fasi finali dell'agguato: la donna dichiarò che Moro camminava al fianco di un giovane, ma tranquillamente, non in modo concitato; che aveva ascoltato nitidamente la voce di una donna; che aveva ascoltato una voce gridare " lasciatemi "; che Moro era stato caricato in una 128 blu scuro, che scomparve verso via Trionfale. In via Fani alle ore 9.10 circa la scena che si presenta è agghiacciante. Riverso al suolo giace Raffaele Iozzino, con la pistola a due passi. Ha il volto esanime, guarda verso il cielo, con le braccia spalancate. Ha solo 25 anni, era nato in provincia di Napoli nel 1953. Domenico Ricci è riverso, quasi adagiato sul corpo di Leonardi. Aveva 42 anni, da 20 anni era l'autista di fiducia di Moro. Era nato a San Paolo di Jesi, nel 1934. Lascia la moglie e due bambini. Al suo fianco giace Oreste Leonardi, il volto coperto di sangue. Era nato nel 1926 a Torino. Lascia la moglie e due figli. Gli altri due uomini della scorta hanno destini diversi : Francesco Zizzi, nato a Fasano nel 1948, capo equipaggio, muore durante il trasporto all'ospedale Gemelli di Roma. Giulio Rivera, 24 anni, nato nel 1954 a Guglionesi, in provincia di Campobasso, muore all'istante, crivellato da otto pallottole. Cinque vite annientate in pochi secondi, da quella che i giornali chiameranno "geometrica potenza di fuoco" che ha prodotto almeno 93 colpi, i cui bossoli furono materialmente trovati sul luogo della strage. Ma che potevano essere di sicuro di più. All'agguato hanno partecipato almeno 11 persone, più i due sulla Honda. Le cui posizioni non saranno mai chiarite completamente, ma che saranno considerate a tutti gli effetti partecipanti all'agguato. Ci sono Mario Moretti, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Barbara Balzerani, Raimondo Etro, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri, Rita Algranati. Quest'ultima all'epoca dei fatti era la moglie di Casimirri, l'unico scampato all'arresto. I due sulla moto Honda non sono mai stati individuati,anche perché per anni la loro posizione non è mai stata molto chiara. Oggi sappiamo che i loro nomi di battaglia erano Peppe e Peppa. La battaglia è terminata. Come già detto prima, restano cinque corpi senza vita, dell'onorevole Moro si perdono le tracce e un mucchio di bossoli sparati da molte armi, una delle quali spara 49 colpi, con un contributo evidentemente determinante, uno specialista tutto questo a fronte della presunta incapacità militare delle BR. L'azione, definita degli esperti come "un gioiello di perfezione, attuabile solo da due categorie di persone: militari addestrati in modo perfetto oppure da civili che si siano sottoposti ad un lungo e meticoloso addestramento in basi militari specializzate in azioni di commando".

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