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Il cantiniere - "u cand'nir"

Città e Territorio

il cantiniere - "u cand'nir"

Un antico mestiere, il cantiniere - "u cand'nir"


Il vino è un efficace consolatore. E infatti la cantina era un luogo molto desiderato dai contadini del Sud, luogo anche così proibito da mogli e amanti dei braccianti, cafoni e pastori, così abituati al piacere dell'ebbrezza, a quel senso di leggerezza, di consolazione, capace di contrastare la monotonia dei pascoli, la solitudine delle campagne e le delusioni di ogni stirpe. I padroni invece aborrivano la socialità delle cantine ("taverne"), perché minava al capobastone il prestigio della sopraffazione e dello sfruttamento. A Gravina in Puglia le cantine non mancavano. In ogni rione del paese c'era una cantina, a piano terra, qualcuna sotto due o tre gradini dal livello stradale. Nel rione Fondovito a Gravina c'era la cantina di "Zia Rosa". C'è qualche anziano concittadino che con nostalgia mena vanto di averla frequentata. L'arredamento della cantina era principalmente costituita da due enormi botti con vino rosso e una botte piccola per il bianco, tenuto in scarsa considerazione quest'ultimo. Non mancava mai il vino rosato (spesso era "l'acquoit"). Il vino della cantina veniva rigorosamente "battezzato" più di una volta dal cantiniere furbacchione. E lo sapevano tutti. C'erano nel retro cantina o nel vano sottostante un paio di tavoli con le sedie impagliate e qualche panca. Da un piccolo bancone, situato quasi dietro la porta della cantina, venivano serviti, ai clienti di passaggio, dei bicchiere di vino, con pochi spiccioli. Mentre i residenti del rione compravano vino, "a litro a litro", per il fabbisogno giornaliero. Le cantine la sera erano abbastanza frequentate. E nei giorni di festa era impossibile trovare un posto. Ci si passava il tempo giocando a carte. Pagava chi perdeva. E il cantiniere vigilava su quel gioco perché aspettava con ansia il dovuto pagamento. Qualche parola scomoda scappava spesso nella cantina. Con tutti quei bicchieri bevuti era facile che nasceva qualche lite. Toccava al cantiniere dipanare discussioni, risolvere conflitti ed eliminare rancori. Aveva interesse a farlo, era il suo mestiere. Qualche volta, ci raccontano gli anziani, saltavano fuori anche i coltelli. Ma era bello in quei tempi di miserie e di povertà frequentare la cantina e il cantiniere, dopo una lunga giornata di lavoro nei campi. I lavoratori gravinesi si rilassavano, per qualche ora, nelle cantine del centro storico: in via Abrazzo D'Ales ("sott a M'ninn"), in via Nunzio Ingannamorte, in via Aquila, in via San Giovanni Evangelista, in via Fornaci. E in tanti altri luoghi, veri angoli suggestivi del nostro abitatissimo centro antico. Il vino veniva servito dal cantiniere nelle brocche di terracotta: "U ruzzoul". Spesso di fronte alla cantina c'era una macelleria ("la vucciarì"). E la carne arrosto, qualche involtino, qualche marro e della salsiccia, nei giorni di festa, facevano capolino nelle cantine affollate di Gravina. Spesso in questo ambiente "vivacchiava" anche il mediatore tra il vignaiuolo e il cantiniere, per la trattativa di vendita del vino. Il suo compito era quello di far raggiungere un accordo gradito ad entrambe le parti e, a lavoro concluso, tratteneva per sé una percentuale del valore della merce oggetto della compravendita. Erano luoghi di aggregazione sociale le cantine di una volta. Erano luoghi di interazione umana, per chiacchierare tra lavoratori e per sparlare di tutti i governi. Ma erano anche ritrovi di solidarietà e di vera amicizia.
Michele Gismundo


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