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Il bandista - "u bannist"

Città e Territorio

Il bandista - "u bannist"


Il mestiere di bandista (u bannist) non era facile. Doveva svegliarsi all'alba perché il giro del paese con la banda iniziava troppo presto. I festaioli volevano far suonare la banda fin dentro le stanze all'ultimo piano per non scontentare nessuno, e il comitato ci teneva che la banda arrivasse fino all'ultima casa della periferia cittadina. I bambini correvano dietro la banda e guardavano con ammirazione, ora il trombone, ora il tamburo, ora la trombetta. Arrivava il momento per una pausa, ma durava pochi secondi. Tre colpi di cassa richiamava all'ordine tutti i bandisti. E la banda tornava, suonando, verso la piazza. A mezzogiorno i bandisti si ritrovavano all'alloggio, si preparavano da mangiare, a gruppi di 5-6 persone si cucinavano un primo piatto (con la cucina a gas) e a turno si "lavavano i piatti". I bandisti più anziani si riposavano sulle brandine allestite nella scuola del paese. Il bandista, ben lustrato, con al seguito il suo strumento, doveva raggiungere con puntualità la chiesa del Santo, per l'uscita della processione. Finite le funzioni il capobanda raccomandava loro: "la fila per cinque, e non coprite gli altri, i clarinetti davanti, Mosè, Mosè". Era la marcia da eseguire, ché faceva sempre un certo effetto, all'uscita del Santo dalla chiesa. E subito dietro il Santo veniva eseguito il famosissimo "Noi vogliam Dio", per far contente le pie donne e non solo. Dopo un lungo giro il Santo rientrava in chiesa. In molte città del Sud c'era l'usanza di depositare una corona di alloro ai Caduti, e con la banda partivano le note del Piave, che non è mai un pezzo come gli altri. Finita la festa i bandisti tornavano all'alloggio, se la città in cui suonavano era distante dal proprio paese. Altrimenti stanchi a casa con un 'unico pensiero, quello dell'odore del sugo preparato dalla nonna. E la camicia bianca volava sul divano insieme alla cravatta della divisa, e il giorno dopo in un'altra piazza, a fare il bandista. Questo lavoro non era ben retribuito. La misera paga incoraggiava, forse, i più giovani ad autogestirsi o magari a mantenersi gli studi. Durante il periodo invernale il bandista svolgeva un altro mestiere: il barbiere, il falegname, il calzolaio, il sarto, ecc. Infatti gli artigiani del paese erano tutti bandisti .
Le Bande musicali, fin dalla loro nascita nel periodo borbonico, hanno rappresentato un momento di riscatto ed emancipazione dei ceti più poveri ed emarginati. Nei territori privi di strutture teatrali stabili di tutto il Sud Italia, le bande sostituivano le orchestre. Nell'immaginario popolare la banda ha rappresentato così "l'Opera dei poveri". Preziosa ed insostituibile era la banda nella vita cittadina, scandiva i più significativi momenti nella vita sociale di ogni centro cittadino: dalle feste patronali, alle processioni, ai funerali. La banda ha rappresentato una tradizione che ha fatto scuola in tutto il Meridione del Paese. Oggi le bande itineranti del Sud Italia stanno scomparendo. Sono diversi i motivi. Sopravvive qualche formazione bandistica di pochi elementi, chiamata "banda a servizio interno". I giovani non amano questa musica. I Conservatori musicali statali non hanno saputo o voluto "difendere" una tradizione di tutto rispetto. Gravina ha avuto nella sua storia bande musicali degne. Ha avuto una tradizione bandistica da fare invidia, fuori. In una festa si possono dimezzare i fuochi d'artificio, ridurre le luminarie, ma è assolutamente impossibile fare a meno della banda: la sua presenza è necessaria, indispensabile. Quando manca la banda si ha la sensazione di trascorrere una giornata qualsiasi, che non lascia il segno. La banda è l'anima della festa.
Michele Gismundo


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