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Gloriosa Gravina al di là della cronaca

Politica e cultura

RAFFAELE NIGRO
(articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 2 marzo 2008)

Che abisso strano a spiegarsi si apre tra la Gravina violenta sfortunata degradata dei piccoli fratelli Pappalardi e della loro famigliola, del buio caso Pupillo, della disoccupazione e della cronaca delle emigrazioni stagionali e quella nobile e altisonante della famiglia Orsini, del museo Pomarici Santomasi, dell'antica e accorsata fiera di San Giorgio, di una gestione amministrativa affidata a un intellettuale di seta fine e avveduta come Rino Vendola. Sembrano due luoghi diversi, due anime divise, di qua un paesone, come è stato con disprezzo definita da un giornalismo superficiale e di là una città in cammino, anche se difficoltoso. Eppure un degrado culturale e intellettuale si registra nei tempi correnti, è innegabile, forse determinato da uno scarso sviluppo economico e imprenditoriale che si fa macroscopico se si guarda la vicina Altamura. Una Altamura che nel frattempo ha compiuto passi giganteschi per la serie di manifestazioni che ne animano le stagioni, per i gruppi intellettuali, per le battaglie in difesa delle sue specificità materiali, le battaglie sindacali, il pane, i funghi, il nocino, il canto popolare, l'Università, la storia antica e recente, il parco della Murgia. Eppure non è da molto che assistemmo al varo del progetto di recupero della Gravina ipogeica e monumentale, né fa difetto alla cittadina appulo-lucana la quantità di strutture importanti da offrire a un turismo affamato di bellezza, di antichità e di arcaicità. Perché allora diventa così facile sparare sull'omertà dei cittadini, sulla loro ignoranza o sulla loro disattenzione al territorio e ai bambini ? E perché non riesce a scattare nei gravinesi una qualche spinta di orgoglio che li porti a considerare quanto il territorio sia stato prodigo con loro e a impegnarsi in un rinascimento sociale culturale e turistico? Ma è così difficile per i gravinesi svegliarsi? Se è vero che sono l'affaccio sulla Murgia, la finestra sulla Lucania più arcaica e segreta e la porta verso quella serie di insediamenti calcarei e trogloditi che sono Matera Laterza Castellaneta Ginosa Palagianello Massafra? Una guida turistica di Gravina apre la città al turista presentandola come una immensa scultura di pietra, una città naturale non molto diversa dai Sassi di Matera e tutta rannicchiata sulla sua grave fitta di vegetazione spontanea, di rocce, di cavità, di scoscendimenti. È stata la natura a creare i primi rifugi nella pietra calcarea. Dunque un'architettura in negativo che se aggiunge calce e pietre nel contempo sottrae al suolo per innalzare palazzi sulle solette di roccia scavata. Una città di ossa e di stalattiti unica al mondo.
Il torrente Canapo fa il resto, erodendo il tufo scava una forra profonda, la grave che fugge verso sud. Il centro di Silbion sulla collina di Botromagno diede asilo a quella civiltà dei Silvini che distingue la ceramica, le grotte, le tombe, gli insediamenti civili e le vicende culturali della terra dalle più consuete e diffuse orme dei magnogreci. Una comunità unica, degna di un museo nazionale solo per questo e tale da invogliare coloro che hanno aperto ristoranti e alberghi sulla grave cementificando con insensata leggerezza a fare qualche passo indietro, a restaurare, a farsi essi stessi paladini e difensori di un luogo tanto speciale. Poi il salto al medioevo, agli Altavilla e a Federico, dei quali resta il rudere di un castello, il residuo della muraglia e delle porte che la circondavano, le cripte di San Michele, cariche di ossa prodotte da saccheggi e disastri, peggio della cattedrale di Otranto e che sono state occultate e andrebbero sistemate in teche e mostrate ai turisti e le grotte affrescatissime di San Vito Vecchio e di San Sebastiano, di Santa Maria della Stella, Santa Maria degli Angeli, del Padre Eterno, di San Basilio, di San Giorgio. Dagli Svevi si passa agli Angiò, che vi vollero allocare una fiera specializzatasi poi in fiera del bestiame e dell'agricoltura e giunta fino a noi. In quegli anni visse un notaio a cui la comunità se ha dedicato una piazza lo ha poco rivalutato come intellettuale. Si chiamava Domenico e aveva il vizio di tenere uno scartafaccio in forma di memoriale. Le memorie di Notar Domenico pubblicate dal Muratori e oggi in via di riedizione annotata e documentata da Giovanna Montrone per l'editore Barile stanno finalmente per venire alla luce con mille difficoltà economiche ma nel migliore dei modi possibili. Poi vennero gli Orsini, a fine 400. Il meridionalismo marxista ci ha abituato a vedere nei baroni gli orchi e i diavoli. Ma se furono arpie bisogna anche dire che gli Orsini dotarono la città di palazzi, non l'affidarono a governatori e a intermediari ma la ressero da sé. Furono le grandi Signorie come i Medici e gli Estensi a creare il Rinascimento. E chi ha scavato nel cuore degli Orsini dopo gli studi di Fedele Raguso? Chi ha provato a leggere e a imporre sul mercato del turismo culturale qual era la città al tempo in cui diede alla chiesa un papa con Benedetto XIII nato appunto Orsini? Dopo la ricostruzione della cattedrale, crollata col terremoto del 1456, vi lavorarono o furono acquistate opere di Stefano da Putignano, dello Zeta Ti e di Sebastiano Pisano, che distribuirono tele e sculture anche ai conventi di San Francesco, di San Domenico e di San Sebastiano, nel tempo in cui Giovanni Antonio Antodari, il poeta epico lucano faceva la spola tra la corte di Bona Sforza e quella di donna Felicetta Orsini. Né si fermarono nel '500 queste fortune, se Pietro Bardellino, Francesco Santulli e Vitantonio Defilippis continuarono ad arricchire di tele la comunità. Poi venne il '700. Quando nascono palazzo Pomarici, con la sua impressionante collezione di tele, la chiesa di Santa Maria dei Morti e la Biblioteca di monsignor Finy, ancora oggi nonostante i furti e gli abbandoni dotata di cinquemila e passa volumi, tra cui incunaboli e cinquecentine. Una storia da recuperare, da far valere come fondamento per uno scatto di orgoglio e di voglia di risorgere.


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